Non “andrà tutto bene”, perché non è andato – e non sta andando – tutto bene. Non “ne usciremo migliori”, perché non ne siamo usciti migliori – e non ne usciremo – migliori. Anche perché, a dirla tutta, non ne siamo ancora usciti.
La pandemia di Covid-19 che ha stravolto l’Italia e il mondo intero continua a mietere vittime e a modificare in peggio le nostre vite. Tanta paura e anche tanta speranza, quest’ultima rivolta ai vaccini anti-coronavirus, che sono la vera e unica strada da percorrere per uscire da questo incubo (e la soluzione non può certo essere l’immunità di gregge, vista soprattutto la capacità e la caparbietà di questo virus di mutare in più varianti).
Ci siamo illusi, presi dallo sconforto, che potesse arrivare in poco tempo un vaccino capace di debellare questo male invisibile e farci tornare a vivere una vita normale. Ma i vaccini contro il Sars-CoV-2 non sono un’illusione, ma una speranza basata su fatti concreti – sulla scienza! –, però bisogna portare pazienza. E allora dobbiamo continuare a prendere tutte le precauzioni che conosciamo ormai a menadito, a rimboccarci le maniche e confidare che chi lavora nei laboratori riesca a produrre il prima possibile una risposta all’emergenza epidemiologica. Nella speranza che la politica e il settore farmaceutico lavorino al meglio per il bene comunque, più che pensando solo ed esclusivamente al business.
Da qualche giorno, dopo mesi in cui abbiamo aspettato che colossi farmaceutici stranieri come le statunitensi Pfizer e Moderna o l’anglo-svedese AstraZeneca (giusto per citare qualcuno) sfornassero la panacea di tutti i mali, si è (finalmente) iniziato a parlare della possibilità che l’Italia produca da sola il proprio vaccino. Una sorta di autarchia medica per arrivare a un vaccino, appunto, autarchico, creato in casa propria.
Il governo di Mario Draghi ha dato un’accelerata in questo senso e il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi – nonché AD di Janssen farmaceutica, facente parte del gruppo Johnson&Johnson – ha dichiarato di essere stato contattato dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti (Lega) per fare il punto della situazione sulle possibilità di produrre i vaccini anti-Covid nel Belpaese.
Si può fare? Sì, si può fare. Ma ci sono due (grossi) nodi da sciogliere. Il primo è quello delle dotazioni tecnologiche, ovvero dei macchinari per farli, i cosiddetti bioreattori e infialatori; il secondo è quello delle tempistiche.
Per il primo nodo si può essere ottimisti, visto che in Italia ci sono diverse aziende con stabilimenti equipaggiati; mentre per il secondo bisogna essere realisti: come ha spiegato Scaccabarozzi, infatti, il vaccino non si produce schiacciando un bottone in pochi minuti, ma necessita per forza di cose di procedimenti e tempi dilatati, che vanno dai 4 ai 6 mesi.
Insomma, volendo si può fare. E, come sappiamo bene, volere è potere. Però servono soldi (che comunque abbiamo) e bisogna lavorare tanto e bene, in concertazione. Per cui, visto che repetita iuvant, è necessario che in Italia la politica e il settore farmaceutico lavorino al meglio per il bene comunque, più che per il bene del business. E il bene comune significa uno o più vaccini italiani anti-Covid, per tornare a vivere una vita il più possibile normale, perché, in ogni caso, non per fare i melodrammatici, nulla sarà più come prima e “normale” come prima. Ecco allora perché è importante, anzi, fondamentale che l’Italia inizi a produrre i vaccini anti-Covid.