Dopo dubbi e perplessità, sembra proprio che ci sarà una Carbon Tax europea. Entrerà a regime solamente nel 2026, mentre dal 2023 inizieranno ad essere introdotte gradualmente alcune regole. Un provvedimento molto discusso che rischia di suscitare malcontento un po’ ovunque, nel Vecchio Continente.
Che cos’è la Carbon Tax?
Per Carbon Tax si intende una tassa che viene applicata a servizi e prodotti del settore energetico che producono emissioni di anidride carbonica. In Italia questa legge non manca, ma non è mai stata applicata.
Risale a un articolo di fine anni ’90, l’8 della legge n. 448 del 23 dicembre 1998, e mira a far utilizzare soluzioni più green.
Il grande rischio di una Carbon Tax è il dumping ambientale, ovvero quel fenomeno per cui si esporta e/o produce in Paesi dove i vincoli ambientali sono minimi o nulli. Se le imprese non trovano “conveniente” produrre localmente, lo fanno altrove, delocalizzando e sfruttando condizioni più “favorevoli” in altri Stati.
Che cosa prevederà la legge europea?
L’Europa per evitare il rischio di dumping ambientale ha deciso di imporre una “border carbon tax“, una tassazione per quei prodotti importati da Paesi che non rispettano i requisiti ambientali richiesti. Si chiamerà carbon border adjustment mechanism (CBAM) e riguarderà: cemento, fertilizzanti, alluminio, acciaio, ferro ed elettricità. Ad essere tassate non saranno solo le emissioni di CO2 dirette, ma anche quelle indirette.
Tuttavia non mancano i problemi. L’organizzazione mondiale del commercio è già in allarme per paura che il carbon border adjustment mechanism diventi “una misura fiscale per ripagare il Recovery Plan europeo“, secondo il direttore del WTO Pascal Lamy. Ma anche la Cina non vuole saperne di Carbon Tax, in quanto penalizzante per i suoi affari. L’America dell’era di Donald rump era dello stesso parere, ma Joe Biden ha cambiato rotta, e ora il suo governo sta lavorando a una carbon tax a stelle e strisce.
Ciò detto, l’efficacia della carbon tax è a rischio. La possibilità che resti una misura di scarsa efficacia come quella italiana è alta, o – prospettiva ancor peggiore – che ricada sulle fasce più fragili della società, già messe a dura prova dalla pandemia. Fino alla presentazione di metà luglio c’è ancora tempo per migliorare e modificare un procedimento che dovrebbe influire davvero sulla transizione ecologica. Restasse così, invece, il rischio di un nulla di fatto è altissimo.