“La fenomenologia dello spirito è la storia romanzata della coscienza che via via si riconosce come spirito”
Lo diceva Hegel, duecento e passa anni fa nella sua “Fenomenologia dello spirito”, croce e delizia per chi ha avuto la (s)fortuna di studiarlo al liceo. (Per quello che possa contare e interessare, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per me, è un numero uno).
Si riconosce come dio ed è un numero uno – nove di maglia e di anima, nonostante “la nove” non l’abbia sempre indossata in carriera – Zlatan Ibrahimovic.
Un colosso di centonovantacinque centrimetri e altrettanti chilogrammi (o almeno così dice Wikipedia). Ibra è una quercia secolare. È un campione, è un fenomeno.
Non ha mai vinto la Champions in carriera, così come Charles Barkley, Karl Malone, John Stockton e Steve Nash – giusto per citarne una manciata – non hanno mai vinto l’anello Nba. Fa niente. Non per questo Ibrahimovic è un dio minore.
Come Roger Federer, come Valentino Rossi, è durato vent’anni. Ed è durato bene. Scoperto dal Malmö a 13 anni, ha abbagliato all’Ajax e ha sfidato sua maestà Marco Van Basten: l’esuberanza e la sfrontatezza dell’Ibra vent’enne hanno toccato vette altissime, lo sappiamo bene.
È arrivato strafottente a Torino, sponda Juventus, e in due anni ha fatto capire che con “appena” 16 milioni la Vecchia Signora aveva fatto un affare, di quelli con la “A” maiuscola. Vince due scudetti, poi revocati con Calciopoli.
I bianconeri retrocedono e Dio Zlatan Ibrahimovic va all’Inter, dopo essere stato a un passo dal Milan. E chissà quanto sarebbe cambiata la storia della Serie A e dei cugini meneghini se le cose fossero andate diversamente. Nel triennio col Biscione fa 66 gol il 117 partite e si cuce sul petto tre Scudetti.
E poi? Poi va al Barça per vincere la Champions League e la coppa se la porta a casa Massimo Moratti. Vince (guarda caso!) la Liga, ma litiga con Guardiola e dopo due anni all’ombra della Sagrada Familia, torna a Milano.
Finalmente è rossonero. E finalmente, dopo 5 Scudetti interisti, il Milan torna a riempire piazza Duomo. Ibra si innamora della società e dei colori e quando nell’estate 2012, post Lodo-Mondadori, quella stessa società lo (s)vende insieme a Thiago Silvia al Paris Saint-Germain, Ibra ci rimane male e si incazza. Lui, al Milan, sarebbe rimasto ben volentieri.
Nei quattro anni sotto la Torre Eiffel a momenti fa più gol che presenze, vince di tutto e di più.
Quindi, Erdevise, Serie A, Liga…gli manca la Premier. Tac, da parametro zero firma con il Manchester United. E per la seconda volta in carriera – la prima era stata con il Milan nel 2011-2012 – non vince il campionato. Però, alt: seppur da zoppo e stampellato in panchina si mette in bacheca l’Europa League, la prima nella storia dei Red Devils.
Rescinde e a quasi 37 anni “va a svernare” (così dicevano) in Major League. Sceglie Los Angeles (chiamalo scemo…), si diverte coi Galaxy e capisce che forse ha ancora (più di) qualcosa da dare al pallone del Vecchio Continente.
“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, dice il grande Antonellone Venditti e allora ritorna al Milan, per chiudere la carriera. Rimette piede a Milanello e il contesto è dei peggiori: società in confusione, il Diavolo arranca a metà classifica, Stefano Pioli lavora con la spada di Damocle di Ralph Ragnick sulla testa, Ibra a fine stagione saluterà visto il caos, visto che non ha ritrovato il Milan come lo aveva lasciat…
E invece è successa una magia. Nelle 19 partite targate Ibra, il Milan fa 39 punti, frutto di undici vittorie, sei pareggi e due sconfitte. Due punti a partita, media Champions. Ragnick? Addio, mister Stefano Pioli rimane. E forse allora anche Ibra.
Insomma, è arrivato, ha tenuto tutti sulla corda durante ogni singolo allenamento e tutti (tranni i casi disperati) sono migliorati (Rebic, Calha, Kessié…). E se rimane in rossonero anche l’anno prossimo, si divertirà e ci divertiremo tutti.
E ci divertiamo già adesso, a vederlo giocare (milanisti in primis), a leggere le sue dichiarazioni. Questa è l’ultima in cinque righe c’è tutto Ibra.
“Quindi pensate che io sia finito. Che la mia carriera terminerà presto. Non mi conoscete. Ho dovuto combattere per tutta la vita. Nessuno credeva in me, così ho dovuto credere in me stesso. Alcune persone volevano spezzarmi, ma mi hanno solo reso più forte. Altre volevano approfittare di me, ma mi hanno solo reso più furbo. E ora pensate che si finito? A tutti voi, ho una sola cosa da dirvi: io non sono come voi, perché non sono voi. Io sono Zlatan Ibrahimovic e mi sto solo scaldando!”
Chapeau Zlatan, e grazie. Ti vogliamo bene