“Sapore di sale/ Sapore di mare/ Che hai sulla pelle/ Che hai sulle labbra/ Quando esci dall’acqua/ E ti vieni a sdraiare/ Vicino a me/ Vicino a me”, cantava Gino Paoli, nel 1964. “Acqua e sale/ Mi fai bere/ Con un colpo mi trattieni il bicchiere”, cantavano Mina e Celentano nel 1998. Ma non siamo qui a parlare di musica (salata). Siamo qui a parlare del fatto che – dopo quarant’anni dalla sua messa a punto – la potabilizzazione dell’acqua del mare è stato affinata e resa energicamente più sostenibile.
Spieghiamo. Gli ultimi studi sul procedimento che rende potabile l’acqua del mare, che hanno visto impegnati i team di ricercatori dell’Università del Texas e della Penn University, hanno dato i loro frutti: grazie alle nuove scoperte degli esperti, infatti, sarà possibile ridurre i costi del processo di potabilizzazione dell’acqua marina, sia in termini economici che energetici.
La potabilizzazione delle acque marine e salmastre richiede un quantitativo sostanzioso di energia e molto lavoro per essere portata a termine. Alla fine di un lungo processo, l’acqua diventa disponibile per vari usi: per essere bevuta dall’uomo o per essere utilizzata nelle industrie, ma anche per l’agricoltura e per l’allevamento.
Il metodo attuale, quello dell’osmosi inversa, è stato utilizzato per oltre quarant’anni ma senza mostrare segni di evoluzione e miglioramento. Almeno fino ad ora.
Le ricerche dei team di studiosi delle due università statunitensi, infatti, hanno portato a interessanti sviluppi; in particolare sono stati spiegati alcuni comportamenti dell’acqua durante il processo di iperfiltrazione che non erano ancora molto chiari.
Con l’osmosi inversa viene indotto il passaggio dell’acqua marina attraverso una membrana. Grazie a questo passaggio, le molecole presenti nell’acqua vengono “filtrate”, e viene lasciata passare solo l’acqua depurata. Questo processo chimico-fisico, però, molto spesso non si svolge in modo omogeneo in tutto il sistema di filtraggio. Ed è proprio su questo che si sono concentrati i ricercatori degli atenei americani, riuscendo a dimostrare il perché di questa particolarità e il modo per porre rimedio al problema.
È stato dimostrato che la problematica in questione è dovuta alla struttura e al materiale utilizzato per la membrana osmotica. Analizzando al microscopio e ricostruendo in 3D i movimenti dei flussi d’acqua durante la potabilizzazione, è stato constatato che – con una struttura della membrana perfettamente regolare in scala nanometrica – è possibile aumentare la resa del processo del 40% circa.
Grazie a questo miglioramento potrebbero essere depurati quantitativi di acqua molto più grandi, con il risultato duplice di avere a disposizione più acqua potabile e, allo stesso tempo, di spendere meno in bolletta energetica.