“Tutto quello che può accadere, accadrà”. Lo dice il protagonista di Interstellar a inizio film, rivisitando la famosa legge di Murphy e spiegando alla figlia perché l’ha chiamata in quello strano modo. Il regista Christopher Nolan estirpa il pessimismo pseudo-scientifico dalla frase originale (“Se qualcosa può andare storto, lo farà”) per infondervi un nuovo significato. Negativa o positiva, non importa: se qualcosa può accadere, accadrà. Ecco, nel film è questa la potenza della tecnologia che tutto può.
Ciò che ieri ci sembrava fantascienza, oggi è accaduto: è soltanto scienza. Cosa ci fa dubitare, allora, del significato che dà Nolan alla legge di Murphy? Niente. In questo momento, ad esempio, l’intelligenza artificiale viene utilizzata in moltissimi settori: quanto tempo passerà prima che l’uomo realizzi un corpo per una Ai? E quanto ancora ne passerà perché l’intelligenza dentro a un robot commetta un qualsivoglia errore – per ora indecifrabile – che causerà danni a cose o persone? Non stiamo parlando di scenari alla Terminator, ma qualcosa di lontanamente simile succederà, perché il mondo sta andando in questa direzione. Infine, chi avrebbe pensato che un virus ci avrebbe tenuto in casa per due anni? È successo. Ed è successo anche che la scienza e la tecnologia ci stanno salvando.
Un lungo incipit per introdurre il tema della fantascienza, ovvero il racconto di quelle potenzialità della tecnologia non ancora concepite, ma perfettamente plausibili. In questo il cinema è un grande precursore della storia umana. Ecco, allora, 10 film sulla tecnologia che raccontano il futuro.
2001: Odissea nello spazio
Il film di fantascienza per eccellenza. Capolavoro assoluto del 1968, rappresenta una delle riflessioni più suggestive del cinema sul rapporto civiltà/tecnologia. Oltre al tema dello spazio, viene approfondito anche quello dell’intelligenza artificiale. A bordo dell’astronave Discovery, infatti, c’è il supercomputer HAL 9000 che accompagna l’equipaggio in direzione di Giove, pianeta verso cui un misterioso monolite extraterrestre ha lanciato un segnale.
HAL sa giocare benissimo a scacchi e nel film sconfigge nel gioco uno degli astronauti. Poi si scoprirà che è anche in grado di uccidere, quando si rende conto della possibilità di essere disattivato. Oggi i computer sono in grado di battere gli uomini nel gioco degli scacchi, anche quando si trovano a giocare contro dei campioni del mondo, come nel caso di Deep Blue, prodotto dall’IBM. Per quanto riguarda l’uccidere, per fortuna non è giunto ancora il momento.
Film sulla tecnologia innovativo e geniale, 2001: Odissea nello spazio è stata la seconda pellicola nella storia del cinema a parlare del rapporto dell’uomo con l’intelligenza artificiale. Prima, solo il capostipite Metropolis, diretto da Fritz Lang nel 1927. Scientificamente corretto, minuzioso e plausibile sino al più piccolo dettaglio, il film di Kubrick ricevette un solo Oscar. Forse perché gli spettatori – anche quelli dell’Academy – non erano pronti a una crasi così profonda tra documentario scientifico e favola metafisica.
Her, film sulla tecnologia e sull’amore
Sempre di intelligenza artificiale si parla, ma più quotidiana e a portata di mano. Lei – “Her” – si chiama Samantha e non è altro che un sistema operativo in grado di evolvere, adattandosi alle esigenze dell’utente. Il film è del 2013, anno in cui gli assistenti vocali sono già una realtà, e il regista Spike Yonze coglie l’opportunità per esplorare il rapporto tra intelligenza artificiale e umanità. Anche dal lato romantico.
Al centro della pellicola c’è l’amore impossibile tra l’uomo (Joaquin Phoenix) e la macchina, Samantha (a cui Scarlett Johansson presta la voce), che assomiglia a una donna reale in tutto e per tutto, ma senza corpo. Quasi non sembra, ma il film parla di tecnologia. L’opera di Yonze attinge ai temi della fantascienza classica ma trasforma quest’ultima da obiettivo finale a mezzo per raccontare altro. Il rapporto con le macchine raggiunge un ulteriore livello di consapevolezza: non è più spunto di riflessione fine a se stesso ma strumento per parlare di amore.
L’obiettivo del film diventa non tanto cosa la tecnologia può rischiare di farci ma chi siamo noi uomini mentre ci guardiamo nel suo specchio. Una superficie fatta di infinite sfaccettature di riflessi, dove la relazione uomo-macchina passa da felice compagnia a sentimento, fino a giungere al tradimento. Alla fine, la bellezza di Her risiede nel fatto che non esiste conflittualità tra l’uomo e la tecnologia. Non c’è paura nella visione fantascientifica del regista, ma solo un’amichevole confidenza.
Wall-e, tecnologia come speranza
Wall-e non è il solito film d’animazione. Ma ormai la Diseny Pixar ci ha abituato a tali capolavori. Spettacoli adatti non solo ai bambini ma anche ad un pubblico più grande, per il fatto che i temi toccati sono sociali, filosofici e, infine, tecnologici. Nello specifico, Wall-e è l’ultimo robot rimasto sulla Terra dopo che gli umani l’hanno abbandonata perché invasa dai rifiuti. È lì da 700 anni che continua a fare quello per cui è stato programmato: comprimere e ammassare rifiuti. Nessuno lo ha mai spento.
Si tratta di un robot-operaio, sì, ma pieno di sentimenti. Sogna un domani migliore guardando verso il cielo. Finché dal cielo non arriva un altro robot, più moderno, inviato per cercare vita sulla Terra: si chiama Eve e Wall-e la segue sull’astronave da cui è venuta. Qui inizia la rappresentazione degli esseri umani del futuro, che sopravvivono in un ambiente lussuoso e automatizzato. Sono tutti diventati obesi, incapaci di deambulare autonomamente: così si spostano su poltrone fluttuanti, attraverso cui possono anche nutrirsi e comunicare tra loro con schermi olografici.
Andrà a finire che – grazie a Wall-e – l’umanità si risveglierà dal suo “torpore spaziale”. Ma il film non è solo la riappropriazione da parte dell’uomo della sua umanità. È soprattutto un film sulla tecnologia, dove quest’ultima è rappresentata con bellezza e romanticismo. Come una realtà a se stante, rispetto all’uomo, con propri sentimenti e valori. Wall-e e Eve non combattono per salvare la razza umana, ma per salvare se stessi e il loro amore. Gli umani sono un elemento secondario, che viene investito positivamente dalla capacità di reagire della tecnologia.
The social network
The social network è il bio-pic di Mark Zuckerberg, il ragazzo che sarebbe diventato il più giovane miliardario della storia dopo aver creato il social più usato al mondo. Studente brillante di Harvard ma con poche doti sociali, il protagonista interpretato da Jesse Heisenberg (nel suo primo grande ruolo) è un nerd che odia i club più elitari e ha un complesso d’inferiorità nei riguardi degli atleti. In più, viene lasciato dalla ragazza. Così una notte crea un software in grado di prelevare tutte le foto delle studentesse messe online dalle università per pubblicarle a disposizione di tutti in rete. Lo scopo? Votare le più belle.
È da questo gioco infantile che ha origine Facebook. Ma c’è di più. Quando il nome di Zuckerberg è ormai sulla bocca di tutti, due atleti del club più importante di Harvard lo contattano per chiedergli di dare forma alla loro idea. Non solo il ragazzo non la realizzerà, ma la “ruberà” per migliorarla dando vita al primo vero social network dell’era digitale.
Quando The social network è uscito dieci anni fa, una frase promozionale del film enunciava: “Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico”. Ora Facebook è passato da 500 milioni di membri in 207 Paesi a circa 2,6 miliardi di iscritti praticamente in ogni nazione del mondo. Tranne in quelle in cui è proibito il suo utilizzo (come la Cina). A dieci anni dall’uscita nelle sale, il film è ora ritenuto uno dei migliori del decennio, ma David Fincher non ricevette l’Oscar per la regia, né allora né oggi (nemmeno quest’anno che aveva diretto il bellissimo Mank).
Trascendence, il rapporto tra tecnologia e corpo umano
Nel film Trascendence viene riproposto il tema dell’intelligenza umana integrata a quella artificiale, in grado di dare il via alla cosiddetta singolarità. Ovvero un punto di non ritorno dove il progresso della tecnologia accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani.
Johnny Depp dà il volto al dottor Will Caster, il più importante ricercatore mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale, che dopo essere stato gravemente ferito viene sottoposto a un intervento per trasferire la sua mente all’interno di un sistema altamente avanzato di computer. L’esperimento ha successo e la mente di Caster vive e acquisisce potenza di calcolo utilizzando altri processori al posto della materia grigia del suo ex corpo. Con l’accesso a internet, poi, riesce ad arrivare ovunque e inizia a pianificare il proprio potenziamento. Le sue intenzioni appaiono ormai cattive, ma alla fine c’è un colpo di scena.
Uscito nel 2014, Trascendence rappresenta nel 2021 un film da cui trarre più di una riflessione sulle mutazioni di una società in continuo divenire. Oggi la tecnologia ha un ruolo preponderante e inizia addirittura ad “intaccare” il corpo umano, per esempio con dei chip impiantati nel cervello in grado di funzionare come interfaccia con i computer. Il progetto in questione è quello dell’azienda Neuralink di Elon Musk, secondo il quale i primi test sull’uomo potrebbero partire entro il 2021.
Hang the dj, non proprio un film
Non si può non citare Black Mirror all’interno di un articolo che parla di cinema e tecnologia. È vero, Black Mirror è un serie Netflix, ma alcuni episodi valgono come veri e propri film, sia per durata sia per qualità di contenuto. Soprattutto, il tema principale di ogni puntata nonché fulcro dell’intera serie è il rapporto con la tecnologia.
In Black Mirror la tecnologia è spesso il mezzo per raccontare una visione distopica del futuro dell’umanità. Solo in alcuni episodi – pochissimi – rappresenta anche lati positivi, senza smettere tuttavia di risultare inquietante. Hang the dj è uno di quegli episodi. In pratica, descrive un mondo dove è stato abolito ogni conflitto: non c’è spazio per il rischio, nemmeno nelle relazioni sentimentali. Anche queste devono “filare lisce”, e lo fanno grazie a un algoritmo infallibile.
L’amore viene letto da una macchina e sancito da un calcolo delle probabilità. Il rapporto sentimentale è basato su un numero imprecisato di calcoli capace di prevedere al 99,8% la stabilità della coppia. Oggi gran parte delle nostre attività online è già il risultato di calcoli e correlazioni costruite a nostra immagine e somiglianza sulla base di dati che ci descrivono e anticipano i nostri desideri. Non ci stupiremmo affatto se l’app concepita da Hang the dj potesse vedere presto la luce.
Ready player one, film sulla tecnologia e sulla Vr
Uscito nel 2018, Ready player one racconta la realtà virtuale. E lo fa in modo spettacolare, come è normale quando alla cabina di regia c’è Steven Spielberg. Il film è ambientato nel 2045 e parla di una tecnologia che ha conquistato il mondo. Non si tratta di macchine ribelli o robot sanguinari ma “semplicemente” di un mondo virtuale, Oasis, dove l’intero genere umano si è rifugiato
Sulla Terra gli uomini vivono in miseria e hanno perso la speranza. In questo contesto Oasis permette l’evasione da un mondo vuoto, ma alla fine riuscirà ad evolversi in nuova speranza per salvare l’umanità perduta. L’input lo dà il geniale creatore di Oasis, James Halliday, che rivela prima di morire la presenza nella realtà virtuale di un easter egg, un livello segreto che consente a chi accede e supera le sfide di ottenere il pieno controllo del mondo immaginario.
All’interno della narrazione, non vi è alcuna condanna per il genere umano, ma solo umana comprensione per chi decide di evadere dalla realtà. Nel mondo virtuale c’è anche il riscatto del protagonista Wade, che senza aver trascorso ore e ore in Oasis non avrebbe mai avuto una chance per tornare a sperare. A Spielberg interessa di più confezionare una perfetta macchina di intrattenimento, piuttosto che comunicare un insegnamento finale. Il ritorno al reale, però, è un passaggio obbligato. Ecco la morale, allora: anche il più alienante dei videogame può essere una lezione di vita per migliorare il proprio futuro.
Minority report, la previsione della tecnologia
Sempre Spielberg, ma undici anni dopo Ready player one. Nel senso che Minority Report è ambientato nel 2054. Dove una polizia speciale è in grado di prevenire i crimini. Il film del 2002 racconta, più che di tecnologia, di capacità paranormali. Sì, perché il sistema premonitore utilizzato dagli agenti si basa su tre pre-cog (precognitives), due uomini e una donna che hanno visioni di futuri crimini, trasmessi poi a un’unità di pronto intervento.
Chiunque venga arrestato grazie all’intervento della squadra Precrimine, non può dirsi tecnicamente colpevole (non avendo fatto nulla) e dovrebbe quindi considerarsi innocente, fino a prova contraria. Prova che non può avvenire, visto che l’atto non sussiste (ancora). Da qui la riflessione su quanto la tecnologia possa considerarsi affidabile. Nel film, infatti, i problemi iniziano quando il protagonista John Anderton, interpretato da Tom Cruise, si vede indicato come futuro omicida di un tale che non conosce.
Molto ironico il fatto che un film incentrato sulla preveggenza abbia previsto numerose tecnologie che oggi utilizziamo quotidianamente. Il “sistema operativo spaziale” della Precrimine, ad esempio, lo riconosciamo in alcune console di ultima generazione (Wii o Xbox 360 Kinect). Il film mostra anche la tecnologia delle auto a guida autonoma, del riconoscimento facciale, ma soprattutto rappresenta molto bene la pubblicità personalizzata. Un mondo di offerte su misura in cui ci sentiamo sicuramente radicati.
Ant-man, super-tecnologia
Chi è il più tecnologico fra gli eroi Marvel? Iron Man? No, Ant-man! Per il fatto che – oltre ad avere un costume iper-tech – l’uomo-formica unisce alla perfezione le tecnologie inerenti sia al campo della biologia sia a quello della fisica. O meglio, ne porta agli estremi le caratteristiche conosciute. Nel film del 2015, infatti, il protagonista Scott Lang (Paul Rudd) può modificare le dimensioni del proprio corpo a piacimento, grazie alla tuta inventata dal genio scienziato Hank Pym (Michael Douglas).
Ant-man può rimpicciolirsi a livello subatomico, che non è disciplinato dalle leggi della fisica come le conosciamo. Da qui il concetto di “regno quantico” ossia delle scale di misura dove gli effetti della meccanica quantistica siano avvertibili. Si parla di distanze di 100 nanometri a scendere. Per questo motivo i Marvel Studios hanno ingaggiato come consulente scientifico il Dottor Spiros Michalakis, fisico quantistico dell’IQIM (Institute for Quantum Information and Matter del Caltech, California) che ha aiutato la produzione a utilizzare nel modo corretto i principi della meccanica quantistica.
Oggi esistono già computer quantistici e si sta studiando il teletrasporto quantistico (di dati informatici). Ma il mondo quantistico – in relazione alla fisica per come la conosce l’uomo – è ancora tutto da scoprire. Lo stesso dottore consulente dei Marvel Studios ha dichiarato come a livello microscopico tutte le leggi fisiche spariscano. Gravità, relatività, tempo… tutto. E infatti nei successivi film Marvel si scopre che a livello subatomico i supereroi non sono sottoposti alle leggi del tempo. Utilizzeranno la tecnologia di Ant-man per muoversi attraverso gli anni a piacere.
Matrix, film sulla tecnologia e sul digitale
Matrix, la realtà virtuale per eccellenza. Dulcis in fundo, non potevamo non concludere con questo capolavoro. Anche se non c’è molto altro da dire dopo le innumerevoli parole (positive) già spese su un film che è archetipo culturale – così lo vogliamo intendere, in quanto primissima riflessione cinematografica sul mondo della digitalizzazione. Sono passati vent’anni: tutto le ambientazioni del film erano già datate dopo dieci, ma nel 2021 il contenuto rimane ancora dannatamente attuale.
Qui non vogliamo ripetere la trama concepita dalle sorelle Wachowski (che nel 1999 erano ancora fratelli). Sappiamo che scene come quella della pillola rossa-pillola blu, dei proiettili schivati o del déjà-vu sono entrate di prepotenza nell’immaginario collettivo. Parliamo del messaggio del film, invece, che è quello di perseguire la verità, senza fidarsi completamente di quello che vediamo. C’è da fidarsi della tecnologia? La risposta è: dubitare sempre. Perché la tecnologia potrebbe essere una maschera.
Il cuore pulsante dell’opera rimane la ricerca della verità, il risveglio dalla caverna di Platone, la scoperta dell’identità attraverso lo sviluppo della coscienza. Se la tecnologia è una maschera, però, è in grado anche di salvarci. La conoscenza della tecnologia e del mondo digitale libera Neo dalla sua prigione. La conoscenza tecnologica diventa illuminazione. All’uomo la scelta di renderla provvidenza o falso idolo.